Ogni giorno annaffiamo il nostro terreno dell’esistenza con mille parole.
Il silenzio, il vuoto, sono tra le più ancestrali di paure, assimilabili alla paura della non esistenza, della perdita di adesione alla realtà collettiva, alla paura che si chiama “paura di morire”.
Prima di tutto, fu il nulla ed il silenzio, lì tutto è nato. Come si fa a descrivere il silenzio ? Con il silenzio ed il nulla.
Il primo paradosso: tutto è presente nel nulla.
Il big bang che ci è stato prospettato non è altro che l’immagine di un grande frastuono che avrebbe dato l’origine alla vita.
I miei neuroni brillano e ballano samba nel rendermi conto che sì, il big bang è l’origine, ma non dell’armonia della vita, bensì DEL CAOS,
dove la parola è un rumore costante di sottofondo propagato dalla mente che è un nuovo senso che è stato introdotto per sentire e sentirsi di più presenti nel proprio sogno.
Le parole si sono evolute dalla propria funzione di esprimere (portare fuori, ascoltare e condividere) in uno strumento di continua coercizione, poiché un essere che NON SI SENTE e NON SI VUOLE SENTIRE ha poche chance di vivere la realtà che vuole, a meno ché non la renda desiderabile per qualcuno che vi voglia partecipare.
L’espressione del fluire (che usa il suono senza filtrarlo dalla mente) è diventato PNL, un plasmare la percezione propria per far sì che si programmi la mente a percepire una certa realtà.
Lo scopo è uno unico: esistere
La paura delle più grandi è NON esistere
ed è uno dei movimenti unificanti, che è ha preso forma di un concetto, pertanto, non è più un movimento, è un punto che ha costantemente bisogno di un aggancio dove appigliarsi per riconoscere la consistenza della propria esistenza.
Esempio concreto: mi definissi un professionista, devo validare la consistenza della mia esistenza, quindi devo essere professionale. lì mi aggancio al prossimo concetto, quello che descrive l’essenza del professionale, che è espressione di un quadro dipinto dalla collettività, un immagine di un qualcuno vestito in modo consono, formale o anche informale, con un certo piglio, un certo modo di fare e allora vado a vedere cosa osservo che funziona e mi trovo che dovrei replicare l’immagine comune di un professionista per essere riconosciuta tale.
Ma sono questo? No. Io sono
Poco o anche niente può essere aggiunto dopo io sono, poiché OLTRE AD OGNI CONCETTO c’è solo un punto, quello che io conosco di me, nel sentirmi bene.
Così è, vale per me, così che può essere che valga per ognuno.
E allora torniamo alla pulizia dei movimenti, della creazione, del libero scorrere delle parole che hanno la funzione di protendersi, di conoscere, di ascoltare, comprendere quindi accogliere o discernere e lasciare andare anche.
Lo scopo è essere (S R) che è, originariamente un colore pulito contenente ogni e qualsiasi colore, anche quello invisibile che si è trovato ad essere cristallizzato in una forma definita che è esistere.
IO SONO
il tutto ed il niente, in un unico punto, là dove tutto è
io sono costantemente variabile, nessun concetto può imbrigliare le mie parole volte a sentirmi e sentire